Il 12 dicembre si è avuta la terza prova scritta dell’esame di avvocato 2019 e, tra le tre opzioni proposte, quella relativa all’atto processuale civile conteneva una problematica non facilmente individuabile in quanto in qualche modo celata dietro un’altra e più evidente questione su cui era facile che i candidati unicamente si concentrassero.
Già il tipo di atto proposto rappresenta un inedito, in quanto, invece dei consueti atti introduttivi o di costituzione di primo o secondo grado, vi era da redigere una comparsa conclusionale che, sebbene strutturalmente più semplice e priva di passaggi obbligati imposti a pena di decadenze o di altre conseguenze sfavorevoli (si pensi, per esempio, alla mancata contestazione di fatti ex art. 115 c.p.c. di cui bisogna tener conto nella redazione di una comparsa di costituzione), ha comunque generato un certo disorientamento, accompagnato da un sentore di diffidenza che, alla luce dei fatti, è risultato tutt’altro che infondato.
La questione processuale prospettata era incentrata su due aspetti problematici, il primo dei quali, ovvero la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del contraente alienante Mevio, non presentava alcun particolare problema, in quanto, da un lato, la sua trattazione era espressamente richiesta dalla traccia e, dall’altro, la soluzione era pacificamente data da una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite facilmente individuabile nei codici commentati (Cass. SS.UU. n. 11523/13).
Invece, era nel secondo problema, ovvero quello relativo alla validità delle prove offerte da Tizio, che si celava una questione giuridica, nascosta dietro un primo problema la cui individuazione e soluzione ha verosimilmente fatto ritenere alla maggior parte dei candidati di aver esaurito gli aspetti da trattare e non è un caso se anche i primi commentatori sul web siano incorsi in questo specifico errore.
Vediamo di cosa si tratta
Ai sensi dell’art. 1417 c.c., la prova della simulazione può essere fornita dai contraenti solo mediante la produzione in giudizio delle c.d. ‘controdichiarazioni’, ovvero dell’atto scritto dal quale risulta quella che fu la loro reale intenzione, mentre è agli stessi preclusa la possibilità di avvalersi di altre fonti di prova, come quella testimoniale e quella, interessata dalla traccia, per presunzioni. Ebbene, nel caso prospettato, l’attore Tizio, che agiva per l’accertamento della natura simulatoria dell’atto di compravendita per interposizione fittizia di persona, benché non fosse parte contraente, era comunque erede dell’acquirente dissimulato ed agiva per ottenere l’inserimento nell’asse ereditario del bene immobile acquistato, a suo dire, dal proprio de cuius e non dal simulato acquirente Caio, convenuto in giudizio.
Il problema facilmente individuabile, quindi, consisteva nel capire se a Tizio, quale erede dell’acquirente dissimulato, fosse estensibile o meno la limitazione prevista dall’art. 1417 c.c. solo per i contraenti. Si tratta di una problematica a cui la Cassazione ha già dato da tempo la soluzione, ritenendo che solo qualora l’erede agisca come legittimario leso nella sua quota di legittima, siccome agisce per un diritto suo proprio, non soggiace a tali limitazioni probatorie. Per cui, nel nostro caso, non agendo Tizio in tale veste, la soluzione al secondo problema posto dalla traccia ci porterebbe ad eccepire nell’atto conclusionale da redigere nell’interesse di Caio, l’inammissibilità delle prove presuntive offerte dall’attore. La completezza ed esaustività di tale soluzione verrebbe, peraltro, avvalorata dalla presenza di una recentissima sentenza della Cassazione nella quale il predetto principio viene applicato ad un caso identico a quello proposto, di interposizione fittizia di persona nell’ambito di una compravendita immobiliare (v.si Cass. Civ., Sez. II, 13/9/2019 n. 22950).
Ma è a questo punto che, anziché ritenere risolto il problema, si sarebbe dovuto considerare un altro aspetto che non era facile da cogliere fra le trame della traccia e posto esattamente lì dove si precisava che al momento della propria costituzione, Caio si era limitato a contestare la dedotta simulazione “senza sollevare specifiche eccezioni”.
Ed infatti, più volte la Suprema Corte ha chiarito che le limitazioni sancite dall’art. 1417 in tema di simulazione, non sono rilevabili dal giudice d’ufficio, in quanto, trattandosi di una limiti posti a tutela esclusiva di interessi privati, ai sensi dell’art. 157 c.p.c. devono essere espressamente eccepite dalla parte entro la prima difesa successiva alla offerta istruttoria fatta dalla controparte (Cass. 14274/17 e 16377/14).
Ciò, a ben vedere, avrebbe dovuto comportare un totale cambiamento dell’atteggiamento difensivo da tenere nell’interesse di Caio, in quanto non essendo stata sollevata alcuna eccezione nell’atto costitutivo, non si potrebbe più validamente sollevare l’eccezione di inammissibilità delle prove offerte dal Tizio e, quindi, la conclusione più corretta sarebbe stata non già quella di eccepire l’inammissibilità delle prove, ma di far valere l’inadeguatezza e l’inconferenza delle medesime. A questo punto non resta che auspicare che in sede di correzione si tenga conto non solo della particolare complessità della questione proposta, ma anche e soprattutto, dell’architettura potenzialmente ingannevole della traccia somministrata.